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Il nostro doveroso ricordo della tragica persecuzione degli Ebrei da parte del nazifascismo non dovrebbe essere semplicemente una ricorrenza, non dovrebbe esaurirsi nella condanna e nell’esecrazione di un regime che si permise di annientare gli esseri umani sacrificandoli al diabolico interesse del totalitarismo; il richiamo alla memoria in esso implicito dovrebbe essere un impegno quotidiano ad esercitare la consapevolezza e a tenere a mente  tutto ciò che nel corso della storia è stato sopruso e sopraffazione, spesso con la tacita connivenza di intere popolazioni. Solo esercitando il ricordo e l’attenzione cosciente, cosa sempre più difficile in un mondo globalizzato dove si rischia di avere tante informazioni e pochi saperi, potremo restare pienamente noi stessi, uomini fra uomini.

Nel brano che segue, tratto dal Fedone, Platone per bocca di Socrate ci avverte già, da un un remoto passato, di quali siano i rischi connessi con la scomparsa della memoria

Quando giunsero all'alfabeto: «Questa scienza, o re - disse Theuth - renderà gli Egiziani più sapienti e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria». E il re rispose: «O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E così ora tu, per benevolenza verso l'alfabeto di cui sei inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non più dall'interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l'apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d'essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti».

Una lapidaria frase di Hannah Arendt ci appare come ulteriore monito.

“Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più” H Arendt, Le origini del totalitarismo

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