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“Ha notato che soltanto la morte ci ridesta i sentimenti? Ma lo sa perché siamo sempre più giusti e generosi con i morti? È semplice. Verso di loro non ci sono obblighi. [...] Se un obbligo ci fosse, sarebbe quello della memoria, e noi abbiamo la memoria corta” Albert Camus, La chute

Il 10 febbraio 1947 entrò in vigore il trattato di pace con cui le province di Pola, Fiume, Zara, e parte delle zone di Gorizia e di Trieste passarono alla Jugoslavia. La cessione dell’Istria fu preceduta e seguita da numerosi episodi di violenza da parte dei seguaci del maresciallo Tito, che, spinti anche da sentimenti di vendetta per la crudele repressione subita nel passato da nazisti e fascisti, volevano “ripulire” dagli italiani (da loro spesso accomunati in modo acritico ai fascisti) quelle terre che avevano acquisito. I cadaveri venivano gettati nei crepacci carsici, le foibe, in maniera che questi omicidi non venissero scoperti. Questa pagina buia di storia ha iniziato ad emergere solo a metà degli anni cinquanta: furono recuperate migliaia di vittime, uomini, donne, bambini, a volte gettati vivi e lasciati morire fra atroci sofferenze.

In questa giornata si ricordano anche quegli istriani, almeno 350 mila, che furono costretti all’esodo, a lasciare case e ogni bene per fuggire con ogni mezzo in Italia dove furono spesso malamente accolti e faticarono a ricostruirsi una vita normale in quella che a tutti gli effetti era la loro patria.

Pur nella sproporzione dei numeri di questa tragedia rispetto ad altre ben più grandi, sembre giusto che tutti i morti innocenti debbano essere ricordati con pietà e onore.

 

“Invece di uccidere e morire per diventare quello che non siamo, dovremo vivere e lasciare vivere per creare quello che realmente siamo”

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