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Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo (P. Levi)

Ricorre fra pochi giorni l’anniversario del 27 Gennaio 1945, quando i soldati sovietici, giunti nella Polonia occupata, abbatterono i cancelli di Auschwitz e misero di fronte alle coscienze del mondo intero l’orrore della barbarie nazifascista nella sua estrema ed infernale realizzazione, agghiacciante soprattutto per lo spirito di zelo burocratico con cui fu pianificata e realizzata.

Da allora questa data rimanda non solo all’immane tragedia vissuta dal popolo ebraico durante la guerra, ma rappresenta e simbolicamente rinnova la memoria di coloro che hanno sofferto l’esclusione, la discriminazione, la prigionia, la deportazione o la morte solo perché, non corrispondendo ad un “modello” d’uomo ideologicamente fissato, erano diventati, come direbbe Hannah Arendt, “superflui”, e quindi eliminabili senza nessuno che ne potesse prendere le difese.

Ormai è passato molto tempo, il ricordo è impallidito e forse non ci colpisce più con la stessa immediatezza, ma non si può affermare che il baratro in cui precipitò il mondo allora non possa spalancarsi di nuovo.

Ne “I sommersi e i salvati” Primo Levi scrive parole illuminanti sulla genesi di questa barbarie, che ebbe origine dopo la seconda guerra mondiale, considerata a ragione come un vero e proprio spartiacque, e mostra con acuta sensibilità storica le ricadute che il nazismo ha avuto sulla storia successiva, mostrando come anche altre parti del mondo abbiano subito il contagio della disumanizzazione :

“(La violenza)  non mancava prima, nel passato remoto e recente: tuttavia, anche in mezzo all’insensato massacro della prima guerra mondiale, sopravvivevano i tratti di un reciproco rispetto fra i contendenti, una traccia di umanità verso i prigionieri ed i cittadini inermi, un tendenziale rispetto dei patti: un credente direbbe «un certo timor di Dio». L’avversario non era né un demonio né un verme. Dopo il Gott mit uns nazista tutto è cambiato. Ai bombardamenti aerei terroristici di Göring hanno risposto i bombardamenti «a tappeto» alleati. La distruzione di un popolo e di una civiltà si è dimostrata possibile, e desiderabile sia in sé, sia come strumento di regno. Lo sfruttamento massiccio della mano d’opera schiava era stato imparato da Hitler alla scuola di Stalin, ma in Unione Sovietica è ritornato moltiplicato alla fine della guerra. L’esodo di cervelli dalla Germania e dall’Italia, insieme con la paura di un sorpasso da parte degli scienziati nazisti, ha partorito le bombe nucleari. I superstiti ebrei disperati, in fuga dall’Europa dopo il gran naufragio, hanno creato in seno al mondo arabo un’isola di civiltà occidentale, una portentosa palingenesi dell’ebraismo, ed il pretesto per un odio rinnovato. Dopo la disfatta, la silenziosa diaspora nazista ha insegnato le arti della persecuzione e della tortura ai militari ed ai politici di una dozzina di paesi, affacciati al Mediterraneo, all’Atlantico ed al Pacifico. Molti nuovi tiranni tengono nel cassetto il “Mein Kampf” di Adolf Hitler: magari con qualche rettifica, o con qualche sostituzione di nomi, può ancora venire a taglio”.

Sembra purtroppo che la tendenza a cancellare ciò che nell’uomo è degno di rispetto, ovvero la sua individualità, la sua insostituibilità, e a considerare interi popoli o gruppi di persone come dei “criminali” a priori, basandosi su presupposti ideologici e dividendo il mondo in “noi” e “loro” non sia affatto in remissione, e possa essere contrastata solo coltivando la lucidità di pensiero, l'empatia e il senso della realtà per andare al di là delle facili generalizzazioni.

“A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager.”  Primo Levi, Se questo è un uomo

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